La leva militare è un rito, non può essere ridotta a strumento tecnico
“Si torna a parlare di leva. Sepolta da trent’anni nella memoria collettiva – scrive Gabriele Segre su La Stampa – sta riemergendo giorno dopo giorno. Prima in Francia, poi in Germania, infine anche da noi, è tornata a essere un tema legittimo del dibattito pubblico, dopo anni ai margini. Non sempre è chiamata con il suo nome: ‘servizio’, ‘formazione’, ‘impegno civile rafforzato’. Si cambia il lessico, si abbassa il tono, ma la sostanza è la stessa. Qualcosa di profondo sta cambiando, non solo nella strategia militare o negli equilibri geopolitici, ma dentro di noi. Ridurla a uno strumento tecnico o a una scelta politica sarebbe un errore. La leva è anzitutto un rito: il momento in cui una comunità dice ai suoi figli per che cosa, se necessario, dovranno rischiare la vita. Per molto tempo l’Europa ha vissuto nella convinzione che della leva non ci fosse più bisogno di parlare. La guerra appariva remota, fuori dal perimetro della vita normale. Su questa distanza si è costruita l’identità europea: la promessa di un futuro migliore, di frontiere che cadevano sotto il peso delle opportunità e non degli eserciti. Un’ambizione straordinaria: fondare l’unità non sullo scontro, ma sulla presunzione di poterne fare a meno. Ora quella promessa vacilla. Il mondo è diventato più duro, più instabile. La guerra è tornata a essere una possibilità concreta e questo cambia il modo in cui una comunità si pensa. La leva ne è il segnale più netto: chiedere ai giovani di ‘servire’ non significa solo rafforzare le difese, ma ridefinire il legame sociale, dire che l’abbondanza non basta più. È su questa base che l’Europa tenta di ricostruire coesione. Ma la leva che ritorna non è europea: è nazionale. Ogni Paese la riempie delle proprie paure e della propria storia. Sensibilità diverse che non aiutano l’unità, perché la paura non è un collante. È una passione solitaria. Il nodo vero non è la leva in sé, ma il fondamento che la sostiene. Può tornare a essere necessaria in un mondo più duro. Ma se nasce solo da paure separate, rischia di restare una mobilitazione senza orizzonte. A un giovane si può chiedere di servire solo se non lo muove il timore, ma la speranza di ciò per cui vale la pena rischiare”. (Nella foto il ministro della Difesa Guido Crosetto).






