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Riccardo Molinari in un’intervista a SfogliAmo racconta la Lega di Bossi e quella di Salvini

Stefano Bisi

Riccardo Molinari (nella foto), piemontese di Alessandria, è un leghista della prima ora. Nel partito fondato da Umberto Bossi è entrato che aveva i pantaloni corti ed ora, che indossa giacca e cravatta e il distintivo di Alberto da Giussano, è il capogruppo della Lega alla camera dei deputati.

Onorevole Molinari, dovesse dare un voto al governo Meloni che cosa scriverebbe in pagella?
“Il governo Meloni è saldamente in carica dal 22 ottobre 2022, ossia ormai da più di tre anni: ci sono tutti i presupposti perché continui il suo percorso fino a fine legislatura, per cui prima di tutto mi pare indiscutibile che si tratta di un esecutivo solido e coeso, al di là di una dialettica interna tra i partiti che lo sostengono, che è non solo normale, ma direi salutare. Lo spread, parametro oggi essenziale per garantire stabilità economica al Paese, è ai livelli più bassi da molti anni a questa parte, e questo principalmente per merito del ministro Giorgetti, che è sempre riuscito, dal 2022 ad oggi, a gestire con sapienza ed equilibrio spesa pubblica e investimenti, in un momento delicatissimo per l’intera Europa. Il posizionamento dell’Italia sullo scacchiere internazionale è strategico, e mi pare che l’esecutivo Meloni si stia muovendo con estrema razionalità e moderazione. Sul fronte interno, la legge di Bilancio è sempre il banco di prova più delicato, e accontentare tutti è spesso impossibile. Il voto all’Esecutivo però, l’unico voto che conta davvero, lo danno gli italiani, che secondo tutti i sondaggi continuano a premiare largamente il centrodestra”.
Talvolta si avvertono scricchiolii nella coalizione di centrodestra. Tra gli alleati c’è armonia?
“Con gli alleati c’è dialogo costante, confronto, talora anche qualche frizione, quando lo riteniamo necessario. Pensiamo al percorso dell’autonomia differenziata: se la Lega in questi tre anni non avesse tenuto duro, e non si fosse imposta, certamente oggi il percorso non sarebbe a questo punto: ovviamente però non siamo ancora al traguardo, per cui non retrocederemo di un solo passo. Su altre questioni si discute, in qualche caso anche in maniera vivace, ma sempre con l’obiettivo comune di salvaguardare gli interessi del Paese. Ovviamente talora con diverse priorità, su cui poi si cerca una sintesi, attraverso la mediazione”.
Quali differenze ci sono tra la Lega di Bossi e quella di Salvini?
“Stiamo parlando di due epoche diverse, di un mondo che ci circonda che è completamente mutato, e che condiziona per forza anche le nostre scelte, in primis è cambiata rispetto ad allora l’ingerenza che le politiche europee hanno sulla vita del Paese, cosa che Bossi aveva capito per primo e che ora stiamo vivendo concretamente. Ma la Lega sa di dover essere fedele alle sue radici, coerente con la sua storia e i suoi valori. Siamo il partito dei territori, delle piccole comunità che costituiscono la ricchezza umana, sociale ed economica del nostro popolo. La Lega è oggi un partito nazionale e una forza di governo, ma il 35% preso in Veneto ha un significato profondo: ci ricorda che casa nostra è il Nord, la difesa delle sue imprese e dei suoi lavoratori una priorità per noi imprescindibile, così come la battaglia politica fondamentale per trasformare l’Italia in uno Stato federale e l’Europa in una comunità di Popoli rispetto all’architettura tecnocratica che è oggi”.

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