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I dieci anni che sconvolsero il Monte dei Paschi raccontati da chi li ha vissuti dall’interno

Come l’araba fenice, il Monte dei Paschi di Siena, che dopo oltre cinque secoli di storia gloriosa e di crescita ininterrotta aveva conosciuto l’onta del fallimento (dal quale l’ha salvato il provvidenziale intervento dello Stato), è oggi risorto e tornato agli onori della cronaca. Grazie alla faticosa opera di risanamento aziendale portata brillantemente a termine da Luigi Lovaglio, forse uno dei migliori capoazienda che l’Istituto abbia mai avuto, è riuscito ad entrare con successo in uno dei templi della finanza italiana, la Mediobanca che fu di Raffaele Mattioli e di Enrico Cuccia.

Le vicende del Monte tornano molto spesso al centro dell’attenzione, e non sempre per aspetti di natura solo finanziaria, come dimostra la dolorosa vicenda di David Rossi, responsabile della comunicazione negli anni di Giuseppe Mussari. E proprio a David è dedicato il libro da poco uscito “I dieci anni che sconvolsero il Monte” di Marco Parlangeli, ex direttore generale della Fondazione Monte dei Paschi che controllava la banca senese.

Parlangeli, che è stato diretto testimone del decennio più travagliato nella storia della banca senese, ha raccontato per la prima volta dall’interno le vicende che portarono alla disfatta dell’Istituto, sotto i colpi della miopia strategica di quella classe politica locale che, attraverso la Fondazione, era il vero azionista di controllo del Monte. 

Senza astio, ma con la puntigliosa precisione del tecnico molto spesso critico nei confronti di quei politici, l’autore descrive il piano inclinato lungo il quale si consumò il declino di uno dei campioni del sistema creditizio nazionale, indicando nomi e cognomi di coloro che – con le loro decisioni e più spesso con le non decisioni – ebbero la responsabilità del crollo. 

Il libro si svolge lungo tre piani paralleli: la storia personale del manager, con la sofferta vicenda del suo licenziamento prima che la crisi esplodesse; la storia della città e della comunità senese, che dopo aver creato la banca e averla fatta crescere nei secoli si è vista sottrarre la sua primaria fonte di ricchezza; la storia del sistema bancario nazionale, che in quegli anni vedeva affermarsi il modello della banca “leggera”, digitale e tecnologica.

Proprio a quest’ultimo livello, secondo l’autore, si deve il crollo del Monte, che non seppe adeguare la sua strategia e il suo modello di business a quello che sarebbe stato necessario per competere con successo in un mercato che richiedeva dimensioni sempre più grandi per poter fare gli enormi investimenti necessari. Per far questo, la strada era quella di far acquisire la banca da un soggetto più grande e il racconto di Parlangeli descrive i tentativi fatti in questa direzione, purtroppo per lui (e per la città di Siena) senza successo. 

La politica non poteva accettare di perdere il controllo assoluto e il potere che questo comportava, e lasciò la banca in mezzo al guado, unica rimasta fra le banche di medie dimensioni che, solo dieci anni prima, erano la categoria più numerosa del sistema ma che a poco a poco scomparvero dal mercato, assorbite dai campioni nazionali o esteri.

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