Alla scoperta dei buchi neri
Massimo Carpinelli, direttore del centro Ego di Pisa, ex rettore dell’università di Sassari ci porta alla scoperta dei buchi neri.
Lontano dalla nostra galassia, nell’oscurità dello spazio, due buchi neri massivi, spiraleggiando a velocità folli, vicine a quelle della luce, si sono alla fine urtati e fusi in un unico buco nero più grande di loro, emettendo energia in tutto l’universo sotto forma di onde gravitazionali. Potrebbe essere l’inizio di un episodio di Star Wars, ma è esattamente quello che è successo a circa 700 milioni di anni luce da noi, quando probabilmente la Terra era coperta di ghiaccio ma l’atmosfera continuava ad arricchirsi di ossigeno preparando l’ambiente per la vita come noi la conosciamo.
È stato allora che due buchi neri, uno di massa equivalente a circa 17 masse solari e l’altro pari a 7 masse solari, si sono fusi in un unico buco nero. Di questo spettacolare evento cosmico non avremmo avuto notizia se non fosse stato per una collaborazione internazionale di fisici che lavorano alla rivelazione delle onde gravitazionali. Questo evento è stato osservato l’11 ottobre del 2024 dalle collaborazioni LIGO negli Stati Uniti, Virgo in Europa, e KAGRA in Giappone. Quasi un mese dopo il 10 novembre 2024 è stato osservato un altro segnale interessante, questa volta a 2.4 miliardi di anni luce dalla Terra, risultato della fusione di un buco nero di 16 masse solari e uno di 8. Le due osservazioni sono state pubblicate il 29 ottobre di quest’anno in un unico articolo su The Astrophysical Journal Letters, e hanno suscitato grande interesse. Dall’osservazione alla pubblicazione è passato un anno circa, di attente verifiche e studio dei dati. Da quando le onde gravitazionali sono state rivelate per la prima volta il 14 settembre del 2014, sono state osservate oltre 300 fusioni di buchi neri. Cosa rende quindi questi due ultimi eventi meritevoli di una pubblicazione scientifica a sé stante? È che con grande probabilità si tratta di buchi neri “di seconda generazione”, cioè prodotti dalle fusioni di altri buchi neri, avvenute in regione del cosmo molto “affollate”, come gli ammassi stellari. È intuitivo immaginare che se c’è una alta densità di buchi neri è più probabile che si scontrino e si fondano. Questa ipotesi è stata formulata studiando le caratteristiche dei buchi neri osservati, in particolare la velocità di rotazione su sé stessi (lo spin). Gli eventi pubblicati sono tra quelli nei quali i buchi neri hanno la più alta velocità di rotazione mai osservata e inoltre in un caso la rotazione intrinseca era in senso opposto a quello dell’orbita rispetto all’altro buco nero, cosa mai osservata fino ad ora. Ogni volta che si fanno scoperte di questo tipo si hanno indicazioni migliori sulla struttura dell’Universo e sulle leggi fondamentali che lo governano. Ma cosa sono esattamente le onde gravitazionali? Per capirlo bisogna tornare indietro a quasi centoanni fa, quando Albert Einstein elaborò la teoria della relatività generale: la più bella teoria mai scritta, secondo alcuni; senz’altro la teoria che ha rivoluzionato il modo in cui pensiamo lo spazio e il tempo. La gravità curva lo spaziotempo. Come esempio una palla pesante poggiata su una membrana elastica la curva; una seconda palla poggiata sulla stessa membrana la curva a sua volta, e le due palle corrono una verso l’altra scivolando lungo la deformazione. La teoria di Einstein spiega la gravità con poche, eleganti equazioni: ma dagli sviluppi di queste equazioni si possono inferire oggetti dalle proprietà straordinarie. Così è accaduto per l’esistenza dei buchi neri, cosìè accaduto per le onde gravitazionali. I fenomeni ondulatori (“onde”) sono uno dei fenomeni più affascinanti della fisica e uno di quelli a noi più familiari: pensiamo alle onde sonore, alle onde elettromagnetiche, pensiamo quelle che per usiamo per comunicare con i telefonini, o alla luce (anch’essa un’ondaelettromagnetica). Le onde elettromagnetiche e le onde gravitazionali, si possono propagare anche nel vuoto, alla velocità della luce, usando lo spazio-tempo come mezzo, cosìcome le onde sullo stagno usano l’acqua o il suono l’aria. La scoperta di Einstein è stata che se una massa viene accelerata vengono emesse onde gravitazionali, che poi si allontanano dalla sorgente. Come mai le onde gravitazionali sono così difficili da osservare? Il motivo è semplice, l’interazione gravitazionale è molto debole rispetto alle altre interazioni (quella elettromagnetica o quella nucleare per esempio) e per poter essere osservate devono essere prodotte da oggetti estremamente massivi: buchi neri, stelle di neutroni che orbitano uno intorno all’altro, esplosioni di una supernova. Tutti fenomeni che coinvolgono masse e accelerazioni enormi, liberando energie straordinarie su scala cosmica. Una volta prodotte bisogna osservarle. Le onde gravitazionali vengono oggi osservatesimultaneamente da strumenti simili, detti interferometrigravitazionali, posti uno a Hanford nello stato di Washington, l’altro a Livingston in Louisiana dalla collaborazione LIGO, il terzo, costruito a Pisa dalla collaborazione VIRGO e il quarto in Giappone dalla collaborazione KAGRA. La collaborazione internazionale permette di ottimizzare le risorse e ottenere le conferme necessarie all’osservazione di un fenomeno estremamente elusivo; inoltre, la distanza tra gli interferometri permette di capire meglio le proprietà della sorgente di onde gravitazionali. Com’è fatto e come funziona un interferometro gravitazionale? Esso è composto da due tunnel di uguale lunghezza posti ad angolo retto a formare una L; qui un fascio laser viene diviso in due e mandato nei due tunnel (“bracci”), dove specchi di grande massa riflettono la luce che viene poi ricombinata su un rivelatore. In assenza di onde gravitazionali la luce dei due laser impiega esattamente lo stesso tempo per andare avanti e indietro nei due bracci, in modo che quando i due fasci vengono ricombinati si osserva una certa figura di interferenza. Se invece un’onda gravitazionale passa sull’interferometro, la lunghezza dei bracci cambia di una quantità infinitesima (una frazione della dimensione del protone), e la luce del laser non impiega lo stesso tempo a percorrere i due bracci. Risultato: la figura di interferenza osservata cambia: l’onda gravitazionale è stata osservata. Il segnale osservato ha frequenze che se fossero un suono potremmo essere ascoltate (naturalmente è un modo di presentare il fenomeno perché le onde gravitazionali non sono udibili). Il problema è che per osservare queste infinitesime variazioni di lunghezza è necessario isolare lo strumento da ogni perturbazione: una impercettibile vibrazione e il segnale sparisce. L’osservazione sperimentale delle onde gravitazionali, oltre a confermare ancora una volta che la teoria della relatività è corretta anche nelle sue previsioni più straordinarie, ha aperto un campo di ricerca completamente nuovo. Fino ad oggi guardavamo l’Universo attraverso la luce, le onde radio, i raggi X, le particelle cosmiche; ora abbiamo un nuovo strumento, quello delle onde gravitazionali, prodotto dagli oggetti più straordinari del cosmo e dal Big Bang stesso; per fare un’analogia, è come se ai nostri cinque sensi umani ora potessimo aggiungere un superpotere da eroe dei fumetti. L’interferometro Virgo si trova nell’Osservatorio Europeo delle Onde Gravitazionali (EGO) vicino Pisa, a Cascina per la precisione, e i suoi bracci lunghi ognuno 3 Km e sono ben visibili, colorati in blu, nei campi della provincia di Pisa. EGO è una infrastruttura di ricerca unica in Europa e tra le poche al mondo, dove si concentrano strumentazioni e apparati di altissimo livello tecnologico, ma soprattutto dove centinaia di ricercatori con entusiasmo e grande dedizione, impegnano la loro intelligenza per aumentare la conoscenza delle leggi della natura. Le scoperte di cui parliamo hanno dimostrato ancora una volta che le reti di infrastrutture di ricerca mondiali, lavoranando insieme, sono uno strumento formidabile per ampliare la conoscenza. In un mondo in cui le nazioni sembrano volersi chiudere sempre di più questi risultati ci ricordano che, pur nella legittima concorrenza per primeggiare nel conseguimento di risultati scientifici, la conoscenza è un patrimonio comune e bisogna continuare a lavorare per il progresso e il bene di tutta l’Umanità.





