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De Bortoli esprime il suo pensiero sulla vicenda MPS-Mediobanca

Ferruccio De Bortoli ha spiegato sul Corriere della Sera la vicenda Mps-Mediobanca.

Probabilmente l’inchiesta della procura di Milano sulla scalata Mps-Mediobanca non influirà sul nuovo assetto bancario-assicurativo. Se fosse a orologeria, come qualcuno ha sospettato (per esempio Antonio Tajani) i magistrati avrebbero clamorosamente sbagliato i tempi. La pubblicazione delle carte dell’indagine, che vede indagati con l’ipotesi di aggiotaggio e turbativa d’astaFrancesco Gaetano CaltagironeFrancesco Milleri, per la parte Delfin-Del Vecchio e Luigi Lovaglio, amministratore delegato di Monte Paschi, non riserva al momento novità clamorose, per cui fa un certo effetto che qualcuno si sorprenda.

Sono stati tanti i distratti, in questi mesi, per interesse o per il semplice timore di mettersi contro il governo e i nuovi poteri della finanza. Pochissimi hanno avuto il coraggio di notare l’anomalia di una scalata in cui il governo parteggia per alcuni privati contro altri. Si sapeva fin dall’inizio che la maggioranza aveva scelto a chi vendere la propria quota della banca senese, ovvero CaltagironeMilleri e Banco Bpm. Incaricando della cessione proprio la piccola controllata di quest’ultima, Akros, tanto per non correre rischi.

Se il ministero dell’Economia avesse voluto valorizzare di più la propria quota – e dunque tutelare meglio l’investimento di denaro pubblico nel salvataggio – l’avrebbe messa all’asta. Ed era chiaro fin dall’inizio che l’obiettivo della scalata non era Mediobanca (così poco tutelata, nella sua immagine storica, da chi era troppo impegnato a garantire le propria buonuscita), bensì le Generali.

È stata una scalata alla compagnia triestina – di cui Caltagirone e Delfin controllano già il 19 per cento, cui si aggiunge il 13 per cento di Mediobanca – per interposta banca. Mai concerto è stato così evidente, anche perché appoggiato, con insolita coerenza, dallo stesso esecutivo. L’accertamento del concerto ha come conseguenza, nel diritto societario, l’imposizione di un’Opa obbligatoria e per cassa agli azionisti con più del 25 per cento di Mediobanca (ovvero Caltagirone e Milleri). Alcuni soci potrebbero chiedere un risarcimento per danno da mancata Opa. Ma quello che preoccupa di più è un altro concerto. Il concerto “muto” di tutti gli altri che, tranne rarissime eccezioni, hanno fischiettato guardando altrove. Mettersi contro il governo ha un suo costo. Aziendale e, soprattutto, personale.

Questo silenzio assordante ha un nome preciso: capitalismo di relazione. Un sistema dove le alleanze e le coperture politiche pesano più delle regole del mercato e della trasparenza. In questo scenario, sorgono domande inevitabili sul ruolo degli organi di controllo. Dove era la Consob mentre questo castello di partecipazioni incrociate veniva eretto alla luce del sole? L’autorità di vigilanza sulla Borsa, che dovrebbe essere il primo baluardo a tutela dei piccoli risparmiatori e della correttezza delle negoziazioni, sembra aver agito con una prudenza che rasenta l’immobilismo.

L’impressione è che, di fronte a un’operazione così palesemente sostenuta da Palazzo Chigi, nessuno abbia voluto assumersi la responsabilità di alzare un sopracciglio. L’inchiesta della Procura di Milano, per quanto tardiva, ha almeno il merito di squarciare un velo su una partita che si è giocata in stanze chiuse, lontano dagli occhi del mercato. Ora si vedrà se la magistratura avrà la forza di andare fino in fondo o se, ancora una volta, la ragion di Stato (o meglio, di sistema) prevarrà sulla legge. Quel che è certo è che questa vicenda rappresenta un test cruciale per la credibilità dell’intero sistema finanziario italiano agli occhi degli investitori internazionali, già diffidenti verso un mercato spesso percepito come poco trasparente e dominato da poteri forti e intoccabili.

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