Giustizia, che fine fanno le relazioni degli ispettori che manda il ministero
Antonio Mastrapasqua (nella foto) con un articolo su Espansione (edicoladigitale.info) si occupa della giustizia.
Gli errori della magistratura, o della polizia giudiziaria nel corso delle indagini, fa parte del rischio inevitabile della giustizia umana. Ma umanamente chi sbaglia dovrebbe pagare, non tanto (e non solo) in termini economici, ma in relazione alla propria carriera. I successi professionali dovrebbero produrre effetti positivi, gli insuccessi dovrebbero determinare conseguenze negative. In un mondo normale. Anche quando si tratta di magistrati e forze di polizia.
La cronaca ci sta abituando a vedere “riesumati” vecchi casi giudiziari che ritenevamo archiviati con sentenze passate in giudicato. Era successo per l’omicidio della piccola Yara Gambirasio, così come per i signori Olindo e Rosa, condannati per la cosiddetta “strage di Erba”. Da settimane a tenere banco è il caso di Garlasco: diciotto anni fa venne uccisa la giovane Chiara Poggi. Il suo fidanzato di allora è stato condannato in via definitiva. Da settimane rimbalzano nomi vecchi e nuovi rispetto alle indagini, si fanno sopralluoghi, si sequestrano (dopo diciotto anni) materiali nelle case dei nuovi indagati. Si cerca qualcosa che allora sfuggì, o che venne sottostimato, o che risultò trascurato nel corso degli accertamenti, così come nella formulazione della sentenza.
Da un lato questo potrebbe dare speranza a coloro che vedono che la ricerca di giustizia non è mai doma. Dall’altro lato sembra lecito – in questo come negli altri casi – chiedersi chi, allora, si sbagliò. Perché alla fine si cerca un errore. Un errore grave, che potrebbe aver condannato un innocente o trascurato la responsabilità di un colpevole.
Poche settimane fa si sono compiuti i quarant’anni dall’arresto di Enzo Tortora. Condannato in primo grado per una vicenda scandalosamente falsa, costruita ad arte, perseguita ciecamente da una Pubblica accusa inadeguata. Tecnicamente il “caso Tortora” non viene rubricato tra gli errori giudiziari, perché non ci fu mai condanna in via definita, ma “solo” in primo grado, con annessa carcerazione. Si distrusse “soltanto” un uomo, la sua carriera, la sua salute, la sua vita.
Qualcuno si ricorda chi furono i magistrati che fecero quell’errore grossolano? Chi furono i responsabili delle indagini che accettarono supinamente le accuse di un delinquente per incolpare un innocente?
Ogni volta che si riaprono vecchi casi, o quando emergono sospetti di un inadeguato esercizio dell’amministrazione della giustizia, quasi come un ritornello, le cronache ci dicono che “il Ministero ha inviato gli ispettori”. L’Ispettorato generale presso il Ministero della Giustizia è un Ufficio di diretta collaborazione del Ministro della Giustizia. Come si legge sul sito istituzionale, svolge “le ispezioni in tutti gli uffici giudiziari allo scopo di accertare se i servizi procedono secondo le leggi, i regolamenti e le istruzioni vigenti”, soprattutto laddove “siano state riscontrate o per i quali vengono segnalate deficienze o irregolarità”.
E al termine dell’ispezione sono tenute a riferire all’esito delle verifiche, “anche sulla entità e tempestività del lavoro eseguito dai magistrati, nonché sulla capacità, operosità e condotta dei funzionari addetti all’ufficio ispezionato”. Ecco, questa seconda parte, scompare dalle cronache.
La trasparenza amministrativa è spesso e giustamente invocata. Ma si manifesta a intermittenza. Quando potremo sapere dei resoconti degli ispettori inviati sul campo? Quando potremo conoscere gli esiti dei controlli, delle verifiche, delle “indagini” ispettive? Quando potremo condividere una valutazione circa l’operato di un magistrato inquirente e giudicante? Solo allora le nuove indagini sui gialli vecchi di anni potranno avere un sapore diverso da quelli di una fiction, magari attrattiva, ma sostanzialmente inconcludente per la vita della società civile.





